Ade & Persèfone

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Per gli antichi Greci, dopo la morte, esistevano gli Inferi. Le anime giungevano da Caronte, il nocchiero che trasportava sulla propria zattera coloro che avevano ricevuto una degna sepoltura e riceveva un obolo per il suo lavoro. Infatti ai morti veniva messa in bocca una moneta prima della sepoltura o della cremazione.

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Devi infatti sapere che anche tra i defunti l’avarizia non cessa di vivere e Caronte, che è il custode degli inferi, una divina non certo irrilevante, è lo stesso uno che non fa niente per niente. Per cui se uno muore povero, dovrà cercarsi il denaro per il viaggio e se non ce l’ha quando si presenta non gli danno nemmeno il permesso di morire tranquillo…

Davanti alle porte degli inferi si trovava Cerbero, il cane a 3 teste(o forse 50 o 100). Aveva inoltre una criniera di serpi e una coda di drago. Aveva il compito di non far uscire i morti e non fare entrare i vivi.

Le anime venivano divise a secondo della condotta assunta in vita. Il tribunale era composto da Minosse che si occupava dei casi più difficili, Predomento ai occupava dei morti di provenienza asiatica ed Eaco dei morti di provenienza europea.

Le anime più malvagie finivano nel tartaro, quelle buone ai campi elisi e quelle degli “ignavi” restavano in un limbo.

Ade, fratello di Zeus e Poseidone, era il signore degli Inferi.

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“Sorgono qui del Dio sotterraneo le case echeggianti,
d’Ade gagliardo, e della tremenda Persèfone. E il cane
terribilmente sta dinanzi alla porta: ché ignaro
è di pietà, maestro di tristi laccioli: a chi entra
agita lusinghiero la coda ed entrambe le orecchie;
ma non consente poi che esca di nuovo: lo spia,
e quando alcuno coglie che varchi la soglia, lo sbrana.”

Nessuna voleva essere sua sposa così, invaghitosi della nipote Persèfone (vergine, fanciulla)  figlia di Demetra, decise di rapirla.

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“E poi nel letto entrò dell’alma Demètra, che vita
diede alla Diva dal candido braccio, Persèfone. E lungi
poi la rapiva Edonèo dalla madre: cosí volle Giove.”

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“Fu finto che Plutone, intendendo per lui il Sole, la rapì, e portossela in inferno, perché il calore del Sole nodrisce, e conserva sotto terra tutto il tempo dell’inverno il seminato grano.”

La fanciulla raccoglieva dei fiori quando Ade uscì dal suolo con un carro trainato da cavalli immortale e la prese con sé.

IMG_20190130_204941.jpgDèmetra, la madre, era disperata per l’assenza della figlia e ottenne da Zeus il permesso di averla con sé per metà anno. Quando Persèfone tornava, annunciava l’inizio della Primavera, mentre quando se ne andava, la madre disperata, non si occupava più della natura e questo dava vita all’inverno.

Con questo mito I Greci si spiegavano il ciclo delle stagioni, il passare degli anni, quasi l’inverno fosse una “punizione”  e l’estate “una benedizione” voluta dagli dei.

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Persèfone, signora degli Inferi, era anche la mediatrice delle richieste dei mortali rispetto alle leggi di Ade.

Aveva spesso compassione dei suoi ospiti e cercava di convincere Ade ad esaurire i loro desideri.

Grazie a lei infatti, Orfeo poté chiedere indietro la sua Euridice.

 

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I messaggeri degli dei

Ammantata di vari colori,
Ìride, messaggera di Giunone, attinge acqua e apporta alimento alle nuvole.

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Iride, l’arcobaleno, era una divinità che faceva da tramite tra dei e uomini, era la messaggera dalle ali d’oro, figlia di Oceano e Teti.

Era per i marinai portatrice di bel tempo ed era la sposa di Zefiro, il vento dell’Ovest, con il quale avrebbe generato il dio Eros.

Poteva recarsi negli Inferi a suo piacimento e viveva sull’Olimpo con gli altri dei.

Iris si collega a Morfeo, dio dei sogni, tramite il mito di Ceìce e Alcione.

Alcione, moglie di Ceìce, un giorno lo chiamò Zeus perché per lei, il marito era più bello del padre degli dei.

Così Zeus si infuriò e scatenò una violenta tempesta durante la quale Ceìce perse la vita.

Alcione era molto devota alla de Era, moglie di Zeus, ed ella  vedendola pregare ogni giorno per il marito, chiamo Iride per andare da Morfeo (che prendeva la forma umana nei sogni) per far sì che Ceìce apparisse in sogno ad Alcione.

<<Ìride, — disse, —fedelissima mia messaggera, rècati velocemente nella reggia soporifera del Sonno e digli di mandare ad Alcione un sogno che, raffigurando Ceìce morto, le spieghi la verità ». Così disse, e Ìride, indossato il suo velo di mille colori, descrivendo un arco per il cielo andò come le era stato ordinato alla reggia del Sonno, che è nascosta sotto una coltre di nebbie.>>

Questo esatto momento, l’incontro tra Iride e Morfeo è rappresentato in un celebre dipinto di Pierre-Narcisse Guerin.

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– Sonno, quiete d’ogni cosa, Sonno, dolcissimo fra i numi, pace dell’animo, che disperdi gli affanni e rianimi i corpi oppressi dal lavoro e li ritempri per nuove fatiche, ordina a un Sogno, che sappia imitare forme vere, i recarsi a Trachine, la città di Ercole, e presentarsi ad Alcione con le sembianze di Ceice, come appare un naufrago. Lo comanda Giunone. –

E appena ebbe assolto la missione, Iride se ne andò, perché più non resisteva al potere soporifero del luogo: come sentì la sonnolenza invaderle e membra, fuggì via risalendo l’arco dal quale era venuta. Allora il Sonno dalla marea dei suoi mille figli destò Morfeo, un talento nell’assumere qualsiasi sembianza. Nessun altro più abilmente di lui è in grado d’imitare l’incedere che gli si chiede, l’espressione e il timbro della voce; in più vi aggiunge il modo di vestire e le parole che distinguono quell’individuo

Iride è rappresentata come una fata delle fiabe che sveglia Morfeo, un giovane dormiente.

Due elementi fondamentali sono l’arcobaleno, la scia che si lasciava dietro  Iride al suo passaggio e i papaveri, simbolo di Morfeo.

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Questo quadro potrebbe essere paragonato al mito di Amore e Psiche, qui però è Iride che sveglia Morfeo dal lungo sonno, anche se tra loro manca l’interesse amoroso.

Morfeo è uno dei figli di Ipno (il sonno) e di Notte.

Secondo la leggenda, Morfeo si avvicinava ai dormienti grazie alle sue ali e portava un bouquet di papaveri con il quale toccava gli occhi dei dormienti per donargli le illusioni realistiche che contrassegno i sogni.

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Queste immagini sono rappresentate come folletti, spiriti che lo circondano.

Secondo Ovidio, Morfeo aveva due fratelli, Phobetor (Fobetore) e Phontasos (Fantaso).

Fobetore è coluo che fa apparire figure di animali, per alcuni è il padre degli incubi: bestie e mostri spaventosi.

Fantaso invece crea paesaggi e oggetti inanimati, da lui infatti, proviene il termine fantasia.

La frase “Essere tra le braccia di Morfeo” è l’equivalente di “sogni d’oro”, prende spunto proprio dal mito ed è quindi un augurio a fare bei sogni.

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Maia, la figlia d’Atlante, congiunta d’amore con Giove,
Ermète generò, l’illustre, l’araldo dei Numi.

Ermes era figlio di Zeus e di Maia, Dea della fecondità. Era il messaggero degli dei e poteva anche esso recarsi nel mondo dei morti a suo piacimento.

Protettore dei viaggiatori e dei ladri, di lui si racconta che arrivato in Arcadia, rubò una dozzina di buoi di Admeto., scoperto da Apollo, venne portato al cospetto di Zeus ma riuscì a placare Apollo regalandogli la lira.

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Apollo allora diede ad Ermes il bastone d’oro con il quale raduna a il bestiame che divenne il “caduceo”  simbolo del dio Ermes. Sulla sommità presenta due serpenti intrecciati e due ali aperte. Secondo la mitologia greca, il caduceo era simbolo di pace e prosperità che venne confuso con il bastone di Esculapio (dio della medicina), diventando così anche il simbolo della rappresentazione del bene e del male degli uomini tenuto in equilibrio dal bastone.

Il sogno resta ancora qualcosa di affascinante che non comprendiamo a pieno, proprio come gli antichi Greci.

E ancora oggi l’arcobaleno è visto poeticamente come un ponte tra mondo terreno e mondo divino. I greci ne erano affascinati e lo vedevano come simbolo di speranza perché spuntava dopo una tempesta.

Nonostante siano passati moltissimi anni, l’uomo non smette di stupirsi davanti a questo spettacolo della natura.

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I primi uomini

Legò Prometeo dai vari pensieri con inestricabili lacci,
con legami dolorosi, che a mezzo di una colonna poi avvolse,
e sopra gli avventò un’aquila, ampia d’ali che il fegato
gli mangiasse immortale, che ricresceva altrettanto
la notte quanto nel giorno gli aveva mangiato l’uccello dalle grandi ali”

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Prometeo era figlio del Titano Giapeto e dell’oceanina Climene. La leggenda narra che gli dei affidarono a Prometeo e al fratello Epimeteo il compito di distribuire gli elementi naturali agli esseri viventi. Epimeteo decise di procedere da solo e diede tutto ai vari animali, senza avere più niente da dare agli uomini.

Prometeo allora, rubò per loro il fuoco agli dei. Secondo la versione del poeta Eschilo, il furto del fuoco fu compiuto da Prometeo quando gli uomini erano diventati troppo potenti per gli dei.

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Per riprenderlo, Prometeo, aiutato da Atena, raggiunse l’Olimpo. Ma la punizione di Zeus fu terribile: Prometeo venne incatenato ad una rupe del Caucaso dove un’aquila ogni giorno gli divorava il fegato, che ricresceva ogni notte.

Zeus invece, per punire gli uomini, decise di mandare la prima donna, Pandora (ricca di tutti i doni) , plasmata con la Creta, le venne data la vita dalle dee e venne inviata in dono ad Epimeteo che la sposò.

«Così disse ed essi obbedirono a Zeus signore, figlio di Crono. E subito l’inclito Ambidestro, per volere di Zeus, plasmò dalla terra una figura simile a una vergine casta; Atena occhio di mare, le diede un cinto e l’adornò; e le Grazie divine e Persuasione veneranda intorno al suo corpo condussero aurei monili; le Ore dalla splendida chioma, l’incoronarono con fiori di primavera; e Pallade Atena adattò alle membra ornamenti di ogni genere. Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre lusinghe e indole astuta, per volere di Zeus cupitonante; e voce le infuse l’araldo divino, e chiamò questa donna Pandora, perché tutti gli abitanti dell’Olimpo l’avevano portata in dono, sciagura agli uomini laboriosi. Poi, quando compì l’arduo inganno, senza rimedio, il Padre mandò a Epimeteo l’inclito Argifonte portatore del dono, veloce araldo degli dèi; né Epimeteo pensò alle parole che Prometeo gli aveva rivolto: mai accettare un dono da Zeus Olimpio, ma rimandarlo indietro, perché non divenga un male per i mortali. Lo accolse e possedeva il male, prima di riconoscerlo

Ignorando le raccomandazioni di Prometeo che aveva affidato ad Epimeteo un vaso facendosi promettere di non aprirlo, non resistete alla curiosità e lo aprì.

Fino ad allora viveva sulla terra, lontana dai mali, la stirpe mortale, senza la sfibrante fatica e senza il morbo crudele che trae gli umani alla morte: rapidamente, infatti, invecchiano gli uomini nel dolore. Ma la donna, levando di sua mano il grande coperchio dell’orcio disperse i mali, preparando agli uomini affanni luttuosi. Soltanto la Speranza là, nella intatta casa, dentro rimase sotto i labbri dell’orcio, né volò fuori, perché prima Pandora rimise il coperchio sull’orcio.

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Dal vaso uscirono tutti i mali che afflissero l’umanità, fino ad allora incontaminata dal duro lavoro, dalla vecchiaia, dal male fisico e dalla follia.

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Però vi era un altro elemento presento sul fondo del vaso, la Speranza che confortò (o illuse) gli uomini durante la loro vita.

(Da qui la celebre dicitura: la speranza è l’ultima a morire)

Con questo mito gli antichi greci cercavano di dare una spiegazione razionale per quanto riguarda la scoperta del fuoco, “regalo” da parte di qualche dio. Il fuoco fu un elemento fondamentale e molto usato, tanto da preoccupare lo stesso Zeus per l’uso, non sempre opportuno, che gli uomini ne facevano.

Essendo presente all’epoca, una mentalità prevalentemente maschilista, “la colpa” di tutti i mali veniva data alla donna. In particolar modo per la sua funzione di seduttrice e plasmatrice della mente dell’uomo. Da lei quindi sarebbero scaturiti tutti i mali, per colpa della sua “incontrollabile curiosità” .

Ma la donna sembra infine avere un ruolo non troppo negativo proprio perché portatrice di speranza che tiene in vita l’essere umano e non gli permette di farsi sopraffare dai mali della vita. La speranza della vita che si rinnova, di una nuova vita che nasce.

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Selene, Eos ed Elio

“Teia Sole grande e la splendida Luna e Aurora, che a tutti i mortali risplende e agli immortali dei che possiedono l’ampio cielo, generò  giacendo con Iperione in amore”

Luna, Sole ed Aurora sono tre elementi del cielo, erano sacri per gli antichi greci. Essi li veneravano come divinità.

Dal sole viene la vita e alternandosi con la luna, danno origine ai giorni assicurando così lo scorrere del tempo.

L’aurora annuncia l’inizio del giorno con i suoi colori caldi e accoglienti.

A Astreo Aurora partorì I venti dal forte cuore. Lo splendente Zefiro e Borea dalla rapida corsa e Noto, lei dea con un dio congiunta in amore., dopo di lui generò l’astro Eosforo, essa la dea del mattino, e Stelle splendenti di cui il cielo è coronato. 

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Eos, l’aurora dalle rosee dita e dalla veste splendente.  Il suo incessante ardore etico sarebbe la punizione da parte di Afrodite che la sorprese a giacere con Ares.

Si potrebbe anche tradurre in immagine il desiderio che, al mattino, si sveglia e brucia le carni.

Quando Eos si invaghiva, si serviva del cavallo alato Pegaso per rapire l’amante e poi lo teneva al proprio servizio.

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È quanto successo a Titone, Eos se ne innamorò e chiese a Zeus che gli concedesse l’immortalità. Ma la richiesta, esaudita, non includeva l’eterna giovinezza., così Titone invecchiò ed Eos lo trasformò in una cicala che la salutava con un trillo all’inizio di ogni nuovo giorno.

Della loro prole ricordiamo Memnone  il quale morì in una battaglia.

Le Memnonidi, sue compagne, piansero tanto da far impietosire gli dei che le trasformarono in uccelli ed Eos, ogni mattina, piange il figlio perduto e le sue lacrime scendono sotto forma di rugiada.

Un altro sposo di Eos fu Astreo “stellato” con il quale generò Zefiro, Borea e Noto, i venti che soffiano da occidente, settentrione e meridione.

 

Una serena e calda notte d’estate, il giovane Endimione s’abbandonò al sonno in un boschetto del monte Latmio, riparato dagl’alberi. Quivi un fascio di luce pallida illuminò il suo volto, poco dopo comparve Selene per ammirarlo più da vicino. La dea s’innamorò perdutamente di quel baldo giovane, e da allora, ogni notte, scendeva dal cielo per dormire accanto a lui. Un giorno, Selene si presentò a Zeus chiedendogli sia di sposare il suo Endimione che di renderlo immortale e lui accettò, consapevole del fatto che la dea si era dimenticata di chiedere per il suo promesso anche l’eterna giovinezza,
Ai primi capelli bianchi, Selene decise, d’accordo con Ipnos, di baciare le palpebre di Endimione così da farlo dormire per sempre onde evitare che il tempo potesse continuare a nuocergli le carni. Selene così, da allora per l’eternità, si reca ogni notte di “luna nuova” sul Latmio, nella grotta dove si trova il talamo nunziale con Endimione addormentato, che la rende madre di cinquanta figlie.

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Selene con Zeus generò Pandia “tutta splendente” “tutta chiara” collegandola al plenilunio.

Una storia la vede protagonista con il dio Pan, tanto brutto e oscuro lui quanto bella e splendente lei.

Il racconto più conosciuto la vede amante di Endimione “colui che dimora dentro” ossia all’interno di una grotta.

Innamoratasi del ragazzo, lo baciò sulle palpebre e da quel momento i suoi occhi non si riaprirono più.

C’è chi dice che sia stata Selene a volerlo per poterlo ammirare per sempre.

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Secondo altri, Ipno, il dio alato del sonno, innamoratosi di questo giovane, gli avrebbe in questo modo consentito di vivere per sempre.

Secondo altri fu un dono di Zeus per evitargli la morte.

Da Selene ed Endimione nacquero 50 figlie, tante quanti I mesi di un’olimpiade e questo riporta alla tradizione secondo la quale Endimione sarebbe stato un re dell’Elide, la terra dove vennero fondati i giochi olimpici.

«Dicono pertanto i Corintj, che Nettuno venne a contesa col Sole per la loro terra; ma il loro mediatore Briareo decise, che l’istmo, e la terra a quello confinante fosse di Nettuno, e che la rupe, la qua- le domina la città appartenesse al sole. Da quel tempo dicono, che l’istmo appartenga a Nettuno.»

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Da lui viene la vita, un dono che ogni giorno viene rinnovato dal canto del gallo, l’animale a lui sacro, quando ritorna dall’altro suo regno.

Un altro animale collegato ad Elio è la capra che nutrì Zeus a Creta, e Teofane (una principessa trasformata in pecora), unita a Poseidone dalla cui unione nacque l’ariete dal vello d’oro.

La sua discendenza aveva una caratteristica particolare: gli occhi splendenti., come per esempio avevano le Eliadi, generate con Climene.

Una delle Eliadi, sarebbe stata Egle “la luce” e un’altra sarebbe stata Febe.

Il mitografo Igino, identifica le Eliadi con l’ammasso stellare delle Iadi.

Il figlio di Elio e Climene più noto è Fetonte, che osò un giorno salire sul carro del padre senza permesso, perse il controllo e precipito nel fiume Eridano, dal terribile impatto nacque un incendio che poté essere estinto solo con un diluvio universale.

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Elio e Rodo generarono sette figli, gli Eliadi. Secondo il poeta greco Pindaro, quando gli dei si spartirono il mondo, Elio non era presente. Per rimediare, Zeus gli disse che sarebbe stato di sua proprietà ciò che fosse apparso in quel momento.  Dalle acque emerse l’isola di Rodi, dove Elio si con giunse con la dea che ne portava il nome.

Un’altra storia riguarda Clizia, amata da Elio ma accantonata a causa della sorella Leucotoe.

Clizia volle vendicarsi rivelando al padre la relazione e questi gettò la figlia in una fossa. Elio però abbandonò Clizia per sempre ed ella, trasformata in girasole, fu condannata a seguirlo in eterno.

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Il mito delle metà

“Le persone si innamorano in modi strani, forse solo sfiorandosi le mani.”

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“Un tempo – egli dice – gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione.”

~Platone, Simposio

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Nell’amore romantico, due anime gemelle sono due persone con affinità spirituali e sentimentali, animi affini quasi predestinati ad incontrarsi e amarsi.

Questo concetto viene rappresentato dalla “mezza mela” secondo cui le anime sono complementari come due parti di una mela tagliata a metà.

Da qui nasce il mito dell’anima gemella: alla ricerca perenne di qualcuno che possa completarci nei difetti e nell’animo.

Secondo questo mito, all’origine dei tempi, gli esseri umani erano composti da quattro braccia, quattro gambe e due teste.

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Zeus, invidioso della loro felicità decise di dividerli, come conseguenza ogni essere umano cerca di ritrovare la proprio la completezza, e secondo il mito greco, la coppia poteva essere formata da due donne, da due uomini o da un uomo e una donna.

Questo mito seppur cruento, vuole insegnarci come nella vita solo la sofferenza ci può portare alla realizzazione dei più grandi desideri dell’anima.

Esiste una credenza orientale secondo la quale, ogni persona porta, fin dalla nascita, un invisibile “filo rosso” legato al mignolo della mano sinistra che lo lega alla propria anima gemella.

Il filo inoltre è indistruttibile: le due persone sono destinate prima o poi ad incontrarsi.

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Lo stesso Tao cinese è un simbolo che rappresenta due opposti che combaciano, lo Ying e lo Yang, il bene e il male, il giorno e la notte, ma anche l’uomo e la donna.

“Se questo stato è il più perfetto, allora per forza nella situazione in cui ci troviamo oggi la cosa migliore è tentare di avvicinarci il più possibile alla perfezione: incontrare l’anima a noi più affine, e innamorarcene. Se dunque vogliamo elogiare con un inno il dio che ci può far felici, è ad Eros che dobbiamo elevare il nostro canto: ad Eros, che nella nostra infelicità attuale ci viene in aiuto facendoci innamorare della persona che ci è più affine; ad Eros, che per l’avvenire può aprirci alle più grandi speranze. Sarà lui che, se seguiremo gli dèi, ci riporterà alla nostra natura d’un tempo: egli promette di guarire la nostra ferita, di darci gioia e felicità.”

Dal punto di vista soggettivo, la vicinanza tra due anime gemelle è dovuta al fatto che si incontrano solo se si trovano entrambe nel “posto giusto, al momento giusto”.

Si può incontrare un’anima gemella diversa a seconda del periodo di vita in cui ci si trova.

Dal punto di vista oggettivo, l’incontro tra le due anime non dipende da luogo e tempo, ma dalla capacità delle anime di consentire alla loro naturale attrazione di realizzarsi, indipendentemente da tutto.

‘Ti amerò fino al giorno dopo l’eternità’

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Apollo & Dafne

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“Nell’umidore del selvaggio suolo
i piedi farsi radiche contorte
ella sente e da lor sorgere un tronco
che le gambe su fino alle cosce
include e della pelle scorza fa
e dov’è il fiore di verginità
un nodo inviolabile compone”.

“Aiutami, padre: se voi fiumi avete potere divino,
distruggi, mutandolo, il mio corpo, che troppo è piaciuto”.
Finita appena la preghiera, un pesante torpore le invade le membra,
il dolce petto si ricopre di fibra sottile,
i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami;
i piedi, prima tanto veloci, aderiscono a immobili radici,
una cima prende il posto del volto, le resta soltanto la bellezza.
Anche così Apollo l’ama e, poggiata la destra sul tronco,
sente ancora trepidare il petto sotto la nuova corteccia
e, abbracciati i rami come fossero membra;
bacia il legno, ma il legno rifiuta i baci.
Le disse il dio: “Poiché non puoi essere mia moglie, sarai almeno il mio albero; te avrò sempre,
o alloro, sui capelli, sulla cetra, sulla mia faretra”.

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Secondo il mito, Dafne, cerca di sfuggire alle avances di Apollo, preda della follia amorosa per colpa di Eros.

Chiede quindi aiuto al padre, affinché venga trasformata in albero così da salvarsi. L’albero nel quale si trasforma è un albero di alloro che Apollo farà diventare il suo simbolo.

“Quando I restanti canti orneranno i solenni trionfi, e lunghe pompe vedrà il Campidoglio, sarai sul capo dei condottieri romani: sarai fedele custode davanti alle porte imperiali e le querce mirerà ch’è nel mezzo”

~Ovidio

L’alloro è inoltre il simbolo della gloria poetica e poeti e imperatori venivano incoronato con una corona di alloro.

Possiamo ammirare questa scultura girandole attorno, messa su un piedistallo colpisce l’occhio per la sua straordinaria bellezza.

Osserviamo che viene rappresentato l’attimo finale del mito, Apollo sta per raggiungere la ninfa ma questa improvvisamente viene trasformata in albero, lasciando il dio nella disperazione totale.

Nella scultura è in atto questa “trasformazione”, questa “metamorfosi”.

I capelli della fanciulla sembrano più somigliare a delle fronde, mentre le estremità delle dita già sono mutate in rami.IMG_20181121_215036.jpg

Tutto il suo corpo compie una mezza rotazione e possiamo notare le gambe avvolte dalle radici, quasi fossero già un tutt’uno.IMG_20181121_215028.jpg

Ci concentriamo sui loro sguardi, quello di lei spaventato a causa di quello che le sta accadendo.

Quello di lui disperato perché teme di non riuscire a raggiungerla in tempo.

Grazie a quest’opera, entriamo nel vivo del mito e della metamorfosi non riuscendo quasi più a distinguere la parte fisica, umana, da quella vegetale.

È la storia di un amore non corrisposto, tanto da spingere lei a morire piuttosto che continuare a vivere infelice con lui.IMG_20181121_215018.jpg

D’altro canto, lui, rimasto solo e senza amore, si dispera per la sua perdita ma decide comunque di averla sempre con sé. Da quel momento in poi l’albero di alloro sarà il suo simbolo e con le sue foglie verranno incoronato i futuri vincitori delle olimpiadi, i porti e gli imperatori.

Questo mito ci mostra la vulnerabilità delle creature divine, che come gli umani, non riescono a resistere all’amore che colpisce chiunque, senza distinzioni.

Il vero messaggio afferma che è inutile porre in atto tentativi di conquista se l’amato non ricambia gli stessi sentimenti.

Fuggi quando vuoi, e la storia sarà invertita: Apollo scappa e Dafne lo rincorre, la colomba insegue il grifone, la mite cerca corre ad afferrare la tigre.

Vana corsa, quando la vigliaccheria ci insegue e la prudenza fugge”

~Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, Atto II, Scena I

~Apollo e Dafne, 1622-1625

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La Primavera

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“La chiamerò Primavera, perché dopo la morte, torna la vita… Si rinasce”

“Ma fatta Amor la sua bella vendetta,
mossesi lieto pel negro aere a volo,
e ginne al regno di sua madre in fretta,
ov’è de’ picciol suoi fratei lo stuolo:
al regno ov’ogni Grazia si diletta,
ove Biltà di fiori al crin fa brolo,
ove tutto lascivo, drieto a Flora,
Zefiro vola e la verde erba infiora.”

~PolizianoIMG_20181115_155703

Questo quadro, uno dei più importanti del periodo rinascimentale si trova a Firenze. Fu commissionato dal cugino di Lorenzo il Magnifico. Il dipinto va letto da sinistra verso destra. Zefiro, vento del sud, rapisce per amore la ninfa Clori e la ingravida, ella rinasce trasformata in Flora, la personificazione della Primavera., che sparge per terra i fiori che tiene in grembo. Al centro si trova Venere, simbolo neoplatonico dell’amore più elevato. Sopra di lei troviamo il figlio Cupido. A sinistra le tre Grazie vestite di veli leggerissimi impegnate in una danza in cui muovono le braccia e intrecciano le dita. Chiude a sinistra Mercurio, con i calzari alati, che con il caduceo scaccia le nubi per preservare l’eterna primavera.IMG_20181115_221837

Simonetta Vespucci fu amata da Giuliano De Medici, fratello di Lorenzo il Magnifico e da Botticelli che ne fece la sua musa rendendola eterna nei suoi dipinti.IMG_20181115_155811

Secondo l’interpretazione storica, la “Primavera” indicherebbe la fioritura della città di Firenze sotto la guida del Medici, il cui dominio ha portato ad una nuova età dell’oro. La città di Firenze sarebbe rappresentata da Flora, Mercurio rappresenterebbe Milano., Cupido, il simbolo di Roma, le tre Grazie di Pisa, Napoli e Genova. La ninfa Clori rappresenterebbe Mantova e Venere rappresenterebbe Venezia, mentre Zefiro sarebbe Bolzano.IMG_20181115_155744

Secondo un’interpretazione filosofica, la  “Primavera” rappresenterebbe come l’amore possa staccare l’uomo delle passioni terrene ed elevato ad un livello spirituale superiore. Venere rappresenterebbe l’Humanitas, ossia le attività spirituali dell’uomo, le tre Grazie invece all’agire dell’Humanitas, Mercurio sarebbe la Ragione, strumento indispensabile per allontanare l’uomo dalle passioni e dall’istinto, il trio di Zefiro, Clori e Flora sarebbero il simbolo della primavera, simbolo di rinascita e vita.IMG_20181118_200508

Possiamo notare nel quadro diversi tipi di fiori e piante. Flora nel grembo ha delle Rose, simbolo dell’amore, della bellezza e della tenacia., viole, l’ornitogallo, l’erba viperina, la camomilla, la cicoria, il papavero (che viene accostato all’idea di tradimento e incostanza), la Nigella, la fragola, gli aranci (simbolo di matrimonio, secondo la mitologia, le Esperidi avevano regalato delle arance a Giove e Giunone in occasione del loro matrimonio).IMG_20181118_200453

Vediamo i non-ti-scordar-di-me, secondo una leggenda, Dio dopo avere dato nomi a tutte le puntate, udì una vocina che lo pregava di non scordarsi di lui, così Dio lo chiamò in quel modo. Secondo un’altra leggenda, le persone che si amavano, costrette a separarsi, si scambiavano dei fiori azzurri, promettendosi a vicenda di pensarsi ogni volta che avrebbero visto fiori simili. L’abito di Flora è decorato di fiord.aliso, rose e garofani. Dalla bocca di Clori escono degli anemoni, simbolo della bontà delle gioie dell’amore e dell’abbandono. Per gli Egizi erano simbolo di malattia, per gli Etruschi era il fiore dei morti. Troviamo anche il tasso, il mirto, l’alloro, pianta sacra ad Apollo e simbolo della gloria. L’iris, simbolo di assoluta fiducia, l’affetto dell’amicizia, il trionfo della verità, la saggezza e la speranza.IMG_20181118_200934

Il colore sullo sfondo è scuro, quasi a voler indicare la morte, sconfitta però dall’idea di una nuova rinascita, di una nuova vita.

~La Primavera, 1482

Photo Credits:Google

Orfeo ed Euridice

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La speranza è quella cosa piumata
che si posa sull’anima 
canta melodie senza parole
e non smette mai.

“…E ormai non erano lontani dalla superficie della terra, quando, nel timore che lei non lo seguisse, ansioso di guardarla, l’innamorato Orfeo si volse: sùbito lei svanì nell’Averno; cercò, sì, tendendo le braccia, d’afferrarlo ed essere afferrata, ma null’altro strinse, ahimè, che l’aria sfuggente…”

 

Orfeo ed Euridice vivono un amore perfetto, idilliaco, la sicura che sono destinati a stare insieme per sempre. Però questa certezza crolla quando Euridice muore a causa del morso di un serpente. Vi è comunque una speranza, come sul fondo del vaso di Pandora, “l’ultima a morire”. Orfeo cerca di scendere negli Inferi per riportare in vita Euridice. Gli viene concessa questa opportunità, ma proprio nel momento finale, quando stanno per uscire dagli Inferi, Orfeo si volta, timoroso che Euridice non lo stia seguendo e la perde per sempre.

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La morale di questo mito è che nessuno può vincere il destino. Orfeo che si gira può essere visto come l’uomo che cerca conforto nel passato ma non lo trova, proprio perché ormai è passato. Deve percorrere quel cammino, deve andare avanti nonostante tutto, nonostante le più brutte atrocità del destino. Orfeo perde Euridice, l’amore della sua vita. Invece di concentrarsi su quello che ha o potrebbe avere, si concentra invece su quello che ha perso, restando così intrappolato in una vita infelice da cui riesce ad uscire soltanto con la morte.

“per sette mesi continui egli pianse/ …come all’ombra di un pioppo un afflitto usignolo/ lamenta i piccoli perduti, che un crudele aratore/ spiandoli sottrasse implumi al nido: piange/ nella notte e immobile su un ramo rinnova il canto,/ e per ampio spazio riempie i luoghi di mesti lamenti”
Virgilio, Georgiche

Il mito finisce in maniera tragica, Orfeo perde la sua amata non una ma ben due volte, deve affrontare di nuovo la sua perdita, come un coltello che viene rigirato nella piaga più e più volte. Sembra che la speranza muoia con Euridice. In realtà la speranza è presente solo alla fine. La speranza e la certezza di Orfeo che dopo la morte riesce a ricongiungersi ad Euridice ma questa volta è per sempre. Non sente più il bisogno di voltarsi, perché sa, ne ha la certezza, che lei è dietro di lui e lo sarà per sempre.

“L’ombra discende sotto terra, e riconosce ciascuno/ dei luoghi che vide un tempo e, cercando Euridice/ la trova nei campi delle anime pie e l’abbraccia voluttuosamente/ passeggiano insieme unendo i loro passi./ Ora la segue, ora le sta davanti,/ e ormai sicuro si volta a guardare la sua Euridice.”
Ovidio, Metamorfosi

A volta restiamo ancorati al passato perché  crediamo sia sicuro e certo.

Abbiamo paura del cambiamento e di quelli che comporterebbe la caduta delle nostre certezze. Dopo una brutta caduta crediamo che il nostro mondo crolli, non sappiamo se e come potremo andare avanti. Ma esiste la Speranza, la speranza che ci farà andare avanti, nonostante tutto.

La Speranza che ci farà andare avanti comunque,anche se ancora, non lo sappiamo.

-Orfeo ed Euridice

Photo Credits: Google Immagini

 

 

 

Amore & Psiche

Ho capito cos’ è la vita e cos’è la morte…e che l’amore è più forte di entrambi…

“…Ma Eros intanto era tornato a star bene, essendosi cicatrizzata la sua ferita, e non riusciva più a sopportare di stare lontano dalla sua Psiche…poi la destò senza farle male un attimo con una lieve puntura della sua freccia e le disse : “Sciocchina, stavi per finir male un’altra volta per la tua curiosità! Suvvia, ora porta a termine la commissione affidatati da mia madre che al resto penserò io.”
Detto ciò, si alzò leggero sulle ali e Psiche si affretto a consegnare a Venere il dono di Proserpina. ”
-Apuleio, La favola di Amore e Psiche.

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La statua di Amore e Psiche è l’opera più celebre dell’artista italiano Antonio Canova e si trova al museo del Louvre di Parigi. La rappresentazione prende spunto da un passo della favola di Amore e Psiche di Apuleio. Amore è il dio dell’amore, il cui scopo è quello di lanciare frecce per fare innamorare Dei e mortali. Psiche è una bellissima fanciulla che non riesce a trovare nessuno da amare, ma che per un caso fortuito, incontra Amore di cui si innamora.
È il momento in cui amore trova Psiche addormentata e pungendola con una delle sue frecce, la risveglia baciandola dolcemente. In realtà nella statua si stanno per baciare, ma questo bacio resta sospeso a mezz’aria e osservando l’opera attentamente potremmo quasi vederli muovere e vedere le loro labbra congiungersi.IMG_20181121_223638.jpg

Le loro braccia si avvolgono in una danza quasi mistica, come se stessero per volare insieme. Le ali del dio sono aperte e sembra quasi un angelo e abbraccia la sua amata con dolcezza. Lei sembra quasi si abbandoni a lui per essere trasportata in un luogo remoto. Psiche si sta risvegliando con un bacio che fa pensare alla storia della Bella Addormentata. Psiche caduta in un sonno eterno, può essere risvegliata solo dal bacio del suo vero amore. Amore sembra quasi essere destinato a far trovare l’amore agli altri tranne che a se stesso, ha a che fare sempre con l’amore, ne è parte integrante ma in qualche modo ne rimane escluso, almeno fino a quando non incontra lei. Per Psiche infatti doveva fare da tramite, doveva trovarle un “buon partito”, ma si rende conto di esserne innamorato, la rapisce e la porta con sé; andando contro il volere della stessa madre Afrodite. Inizialmente le nasconde la sua vera identità per paura di un suo rifiuto ma nonostante i problemi, il loro amore è vero, e riescono a trovare un modo per stare insieme.
Quindi, come nelle più belle favole, la principessa viene salvata dal suo principe azzurro, che la sveglia dal sonno eterno con il bacio del vero amore e vivono per sempre felici e contenti.

Purtroppo non ho ancora avuto l’occasione di vedere questa opera dal vivo, ma sicuramente andrebbe vista in ogni sua parte, girandole attorno per notare , dietro i due innamorati, il vaso che Psiche ha aperto e ammirare la perfezioni delle ali di Amore.

Credo sia una della più belle storie d’amore della mitologia antica. Un inno all’amore, al vero amore, che unisce anche due persone molto diverse tra loro. Un amore attuale, che va contro l’amore scontato tra esseri simili, ma che apre le porte anche ad amori “diversi”. In fondo lei è solo una mortale che rinuncia alla sua mortalità per diventare un essere immortale, stando così accanto all’uomo che ama. Il loro è un amore apparentemente impossibile, lei è destinata a morire,mentre lui è destinato a vivere per sempre.

Con questa favola io credo che Apuleio volesse far capire ai suoi contemporanei , non molto diversi dalle persone di oggi, che se c’è l’amore tutto si può superare.

-“Amore & Psiche” di Antonio Canova, 1787-1793

Photo Credits: Google Immagini

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